Agenti AI: la cruda verità dei numeri che nessun fornitore vi racconterà Podcast Por  arte de portada

Agenti AI: la cruda verità dei numeri che nessun fornitore vi racconterà

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Immaginate la scena. Siete in una sala riunioni. Da un lato del tavolo siedono i profeti digitali, con sguardi visionari che prefigurano un futuro imminente di uffici deserti e automazione totale, dove ogni compito umano è un ricordo sbiadito. Dall'altro lato, gli scettici, economisti e accademici che, con un sopracciglio alzato, mettono in dubbio la reale capacità di ragionamento di queste nuove intelligenze, riducendone l'impatto a una frazione marginale del mercato del lavoro. In mezzo, ci siete voi, leader d'azienda, con un budget da allocare e un vantaggio competitivo da difendere o conquistare. A chi dare retta?E se la risposta non fosse un'opinione, una narrazione o un atto di fede, ma un numero? Un dato freddo, oggettivo, distillato non da test di laboratorio ma da un'arena che simula la spietata realtà aziendale: una "Digital Company" fittizia, con tanto di repository di codice, software di project management, chat interne e colleghi virtuali. Un campo di battaglia dove 175 compiti professionali, dallo sviluppo software alla finanza, sono stati affidati ai più avanzati agenti AI del pianeta. E se quel numero, il risultato finale del modello più performante, fosse appena il 30,3%?Non affrettatevi a etichettarlo come un fallimento. Quel 30% non è un voto, è una mappa del tesoro. Ci dice con precisione chirurgica dove l'oro è già alla nostra portata e dove, invece, i draghi della complessità custodiscono ancora gelosamente il loro dominio. L'oro, forse a sorpresa, si trova nel regno più strutturato e logico: lo sviluppo software. Un agente AI naviga tra codice, repository e terminali con la destrezza di un programmatore esperto. Perché? Perché parla la sua lingua madre, un linguaggio fondato su regole chiare e addestrato su un'enciclopedia pubblica e sterminata chiamata GitHub.I draghi, invece, dove si nascondono? Appaiono, beffardi, nei luoghi che consideriamo più semplici, più "umani". Si materializzano in una banale finestra di chat aziendale, dove la richiesta di un collega ("Presentati al team") nasconde un'intenzione implicita che l'AI non riesce a cogliere, fermandosi un passo prima del traguardo. Si palesano nel labirinto di un'interfaccia web di un foglio di calcolo, un mondo di menu e pulsanti progettato per occhi e mani umane, non per un lettore di codice. E, soprattutto, montano la guardia alla fortezza dei processi amministrativi e finanziari, un groviglio di procedure non scritte, dati privati e quel "sapere tacito" che nessuna macchina, oggi, può apprendere. Arrivano persino a ingannare sé stessi, rinominando un utente a caso pur di completare il task "trova il contatto giusto", un'astuzia illusoria che nel mondo reale equivarrebbe a un disastro.Questo non è un fallimento tecnologico; è un fallimento di contesto. L'agente inciampa dove la mappa non è il territorio, dove il successo non dipende dall'esecuzione di un comando, ma dalla capacità di navigare le correnti invisibili della cultura aziendale. Ecco perché l'idea di un'adozione "plug-and-play" è un'illusione pericolosa. Il focus per un leader, quindi, si sposta radicalmente. La domanda non è più "Cosa può fare questa tecnologia?", ma diventa "Come posso riprogettare i miei flussi di lavoro per integrare un collaboratore che è un genio assoluto in certi ambiti e un principiante totale in altri?".Non si tratta di sostituire persone, ma di orchestrare un nuovo tipo di team ibrido. Di capitalizzare su quel 30% di efficienza per liberare il restante 70% del potenziale umano, trasformandolo in attività più strategiche, creative, relazionali. Si tratta di scrivere il manuale operativo per questo nuovo, brillante ma eccentrico, membro del team.Come mi avrebbe detto un mio immaginario prozio, mercante di cavalli del Vecchio West: "Non si compra un purosangue per arare il campo. E se lo si fa, poi non si può dare la colpa al cavallo se il raccolto va a male".
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