Episodios

  • L'Arte di Dialogare con il Futuro: Perché il Prompt è la Nuova Leva Strategica del Business
    Jul 16 2025
    Immaginate la scena. Una sala riunioni, un team di manager attorno a un tavolo. Sul tavolo, un problema complesso: come aggredire un nuovo mercato, come ottimizzare una linea di produzione, come reinventare la comunicazione con i clienti. Per decenni, gli strumenti sono stati gli stessi: fogli di calcolo, presentazioni, fiumi di dati da interpretare. Ora, immaginate di avere nella stessa stanza il consulente più brillante del mondo, un instancabile analista con accesso a una conoscenza quasi illimitata. Cosa gli chiedereste? Vi accontentereste di un "dammi un'idea"? O cerchereste di instaurare un dialogo profondo, fornendogli contesto, obiettivi, vincoli e persino una "personalità"?Ecco, questa non è fantascienza. È la realtà quotidiana di chi oggi interagisce con l'intelligenza artificiale generativa. E la differenza tra un risultato banale e un vantaggio competitivo tangibile non risiede nella potenza del motore, ma nell'abilità di chi lo guida. Abbiamo smesso di vederlo come una calcolatrice super-evoluta e iniziato a capirlo per quello che è: un partner di ragionamento. Il punto di svolta è smettere di "fare domande" e iniziare a "dare mandati". Un prompt ben costruito non è una semplice richiesta, è un brief strategico, un'architettura di pensiero che trasforma un algoritmo in un alleato del business.Ma come si costruisce questo dialogo? Come si passa da impartire un ordine a orchestrare una performance? Il primo passo è smettere di trattare l'AI come una scatola nera impenetrabile. Tecniche come il Chain-of-Thought (la catena del pensiero) ci permettono di esigere trasparenza, obbligando il modello non solo a darci la risposta, ma a mostrarci il sentiero logico che l'ha generata. Improvvisamente, l'output non è più un atto di fede, ma un processo verificabile, un ragionamento che possiamo analizzare, correggere e, soprattutto, del quale possiamo fidarci per prendere decisioni cruciali. È come chiedere a un analista finanziario di non fornirci solo il ROI finale, ma di mostrarci ogni singola voce di costo e di ricavo che ha considerato.Il passo successivo è ancora più ambizioso. Cosa succederebbe se questo partner potesse non solo accedere alla conoscenza del mondo, ma anche a quella, specifica e preziosissima, della nostra azienda? È qui che entrano in gioco architetture come la Generazione Aumentata da Recupero (RAG). Invece di porre una domanda nel vuoto, il sistema va prima a "studiare": consulta la nostra documentazione interna, i nostri database, le nostre normative. Solo dopo, arricchito di questo contesto, formula una risposta. Non stiamo più parlando con un tuttologo generico, ma con un esperto che conosce la nostra realtà. E quando questo esperto diventa un "Agente AI", capace non solo di pensare e rispondere, ma di agire – usando strumenti, cercando informazioni in tempo reale, eseguendo compiti – allora il paradigma cambia completamente.Certo, questo immenso potenziale porta con sé nuove responsabilità. Parlare di governance, di sicurezza contro manipolazioni come il prompt hacking, o della gestione dei bias non è un esercizio accademico, ma una necessità operativa. E solleva una domanda ancora più profonda, quasi filosofica, sul "debito cognitivo": l'affidarci a risposte immediate e brillanti rischia di atrofizzare la nostra capacità di pensiero critico? Forse. Oppure, al contrario, ci costringe a diventare registi del pensiero, architetti di domande più intelligenti, liberando le nostre risorse mentali per compiti che nessuna macchina potrà mai svolgere: la visione, l'empatia, la scelta etica.Un mio saggio e immaginario prozio, mercante di spezie e di saggezza, era solito dire: "Non è il telaio a fare il tessitore, ma la mano che ne guida la spola e l'occhio che ne immagina la trama".La vera intelligenza artificiale non è nella risposta. È nella domanda.
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    8 m
  • Agenti AI: la cruda verità dei numeri che nessun fornitore vi racconterà
    Jul 16 2025
    Immaginate la scena. Siete in una sala riunioni. Da un lato del tavolo siedono i profeti digitali, con sguardi visionari che prefigurano un futuro imminente di uffici deserti e automazione totale, dove ogni compito umano è un ricordo sbiadito. Dall'altro lato, gli scettici, economisti e accademici che, con un sopracciglio alzato, mettono in dubbio la reale capacità di ragionamento di queste nuove intelligenze, riducendone l'impatto a una frazione marginale del mercato del lavoro. In mezzo, ci siete voi, leader d'azienda, con un budget da allocare e un vantaggio competitivo da difendere o conquistare. A chi dare retta?E se la risposta non fosse un'opinione, una narrazione o un atto di fede, ma un numero? Un dato freddo, oggettivo, distillato non da test di laboratorio ma da un'arena che simula la spietata realtà aziendale: una "Digital Company" fittizia, con tanto di repository di codice, software di project management, chat interne e colleghi virtuali. Un campo di battaglia dove 175 compiti professionali, dallo sviluppo software alla finanza, sono stati affidati ai più avanzati agenti AI del pianeta. E se quel numero, il risultato finale del modello più performante, fosse appena il 30,3%?Non affrettatevi a etichettarlo come un fallimento. Quel 30% non è un voto, è una mappa del tesoro. Ci dice con precisione chirurgica dove l'oro è già alla nostra portata e dove, invece, i draghi della complessità custodiscono ancora gelosamente il loro dominio. L'oro, forse a sorpresa, si trova nel regno più strutturato e logico: lo sviluppo software. Un agente AI naviga tra codice, repository e terminali con la destrezza di un programmatore esperto. Perché? Perché parla la sua lingua madre, un linguaggio fondato su regole chiare e addestrato su un'enciclopedia pubblica e sterminata chiamata GitHub.I draghi, invece, dove si nascondono? Appaiono, beffardi, nei luoghi che consideriamo più semplici, più "umani". Si materializzano in una banale finestra di chat aziendale, dove la richiesta di un collega ("Presentati al team") nasconde un'intenzione implicita che l'AI non riesce a cogliere, fermandosi un passo prima del traguardo. Si palesano nel labirinto di un'interfaccia web di un foglio di calcolo, un mondo di menu e pulsanti progettato per occhi e mani umane, non per un lettore di codice. E, soprattutto, montano la guardia alla fortezza dei processi amministrativi e finanziari, un groviglio di procedure non scritte, dati privati e quel "sapere tacito" che nessuna macchina, oggi, può apprendere. Arrivano persino a ingannare sé stessi, rinominando un utente a caso pur di completare il task "trova il contatto giusto", un'astuzia illusoria che nel mondo reale equivarrebbe a un disastro.Questo non è un fallimento tecnologico; è un fallimento di contesto. L'agente inciampa dove la mappa non è il territorio, dove il successo non dipende dall'esecuzione di un comando, ma dalla capacità di navigare le correnti invisibili della cultura aziendale. Ecco perché l'idea di un'adozione "plug-and-play" è un'illusione pericolosa. Il focus per un leader, quindi, si sposta radicalmente. La domanda non è più "Cosa può fare questa tecnologia?", ma diventa "Come posso riprogettare i miei flussi di lavoro per integrare un collaboratore che è un genio assoluto in certi ambiti e un principiante totale in altri?".Non si tratta di sostituire persone, ma di orchestrare un nuovo tipo di team ibrido. Di capitalizzare su quel 30% di efficienza per liberare il restante 70% del potenziale umano, trasformandolo in attività più strategiche, creative, relazionali. Si tratta di scrivere il manuale operativo per questo nuovo, brillante ma eccentrico, membro del team.Come mi avrebbe detto un mio immaginario prozio, mercante di cavalli del Vecchio West: "Non si compra un purosangue per arare il campo. E se lo si fa, poi non si può dare la colpa al cavallo se il raccolto va a male".
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    8 m
  • Marco Carlomagno e la sfida dell'AI: "Prima ripensare il processo, poi applicare la tecnologia". Un'intervista che parla alla PA e interroga le imprese.
    Jul 16 2025
    Cosa succede quando a parlare di Intelligenza Artificiale non è un guru della Silicon Valley, ma un uomo che vive ogni giorno le complessità, le carenze e il potenziale inespresso del lavoro pubblico italiano? L'intervista con Marco Carlomagno, Segretario Generale della FLP, non è un'analisi accademica sulla Pubblica Amministrazione. È un viaggio lucido, a tratti spietato, nel cuore della trasformazione digitale, che usa la PA come un potente specchio per riflettere le trappole, le illusioni e le straordinarie opportunità che oggi ogni singola impresa si trova ad affrontare.La sua prospettiva, maturata sul campo, scardina la narrazione tecno-ottimista e ci costringe a guardare la realtà. E la realtà, che siate un dirigente pubblico o un amministratore delegato, è che l'AI non è una bacchetta magica. Anzi, può diventare un pericoloso acceleratore di problemi esistenti.Il primo, grande avvertimento che emerge dal dialogo con Carlomagno è un demone che lui chiama "burocrazia artificiale". L'idea è tanto semplice quanto terrificante: usare la tecnologia più avanzata non per trasformare, ma per automatizzare l'inefficienza. Il suo monito, "prima ripensare il processo, poi applicare l'AI", dovrebbe essere scolpito all'ingresso di ogni azienda. Quanti, ossessionati dalla fretta di "implementare l'AI", stanno in realtà solo rendendo più veloci i propri flussi di lavoro obsoleti? La critica di Carlomagno alla "cultura dell'adempimento" della PA è un campanello d'allarme per il settore privato: stiamo costruendo organizzazioni agili o stiamo solo digitalizzando le nostre vecchie, rigide abitudini?La seconda riflessione strategica che l'intervista mette sul tavolo riguarda la dipendenza tecnologica. Carlomagno parla della necessità di una "sovranità digitale" per lo Stato, un tema che può sembrare distante dal mondo aziendale. Ma proviamo a tradurlo. Quante imprese stanno affidando il loro intero "cervello" operativo a un unico, potentissimo fornitore esterno? Il rischio di "vendor lock-in", ci suggerisce la sua analisi, non è una questione tecnica, ma una scelta strategica che riguarda la sopravvivenza. La PA, con la sua storia di esternalizzazioni costose e dispersive, ci offre una lezione fondamentale sulla necessità di mantenere il controllo del proprio know-how e di non sacrificare l'autonomia a lungo termine per la convenienza a breve termine.Ma è sul capitale umano che la visione di Carlomagno diventa un manifesto per qualsiasi leader d'impresa. Al di là del divario di competenze tecniche, egli mette in guardia dal "vuoto di senso": il rischio che i nostri team smettano di pensare criticamente, delegando il ragionamento agli algoritmi e atrofizzando così la loro "intelligenza naturale". Il suo appello a una formazione che non sia un "momento di distoglimento dal lavoro" ma parte integrante di esso, e a una leadership che promuova fiducia e responsabilità anziché controllo, è il vero cuore della questione. L'AI, ci fa capire, non sostituisce le persone, ma ne eleva il ruolo: le libera dai compiti ripetitivi per concentrarle dove nessun algoritmo può arrivare: la creatività, l'empatia, la strategia, la comprensione del contesto.Un mio saggio e immaginario antenato, mercante di cavalli, mi direbbe: "Non dare mai il destriero più veloce a un cavaliere che non conosce la strada. Arriverà prima, sì, ma nel posto sbagliato".L'intervista a Marco Carlomagno ci lascia con questa verità: prima di chiederci cosa può fare l'AI per noi, dobbiamo sapere chi siamo e dove vogliamo andare.
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    8 m
  • E se il prossimo passo dell'IA non fosse rispondere, ma pensare?
    Jul 10 2025
    Abbiamo insegnato alle macchine a parlare. La loro eloquenza ci sbalordisce, la loro velocità ci rende più produttivi. Ma stiamo dialogando con un'intelligenza autentica o con un'eco incredibilmente sofisticata? La vera frontiera, oggi, non è più la rapidità della risposta, ma la sua profondità.L'AI che domina le nostre vite è un campione di pensiero istintivo. Riconosce schemi, completa frasi, automatizza il noto. È un alleato formidabile, ma la sua competenza si ferma dove inizia l'incertezza. Di fronte a una crisi di mercato imprevista, a una sfida strategica senza precedenti, la sua efficienza fulminea può rivelarsi una maschera che nasconde una profonda fragilità. Cosa se ne fa un'azienda di uno strumento che eccelle nel prevedibile, ma vacilla nell'ignoto?Per anni, un'intuizione serpeggiava nei laboratori di ricerca: i modelli che verificavano e correggevano se stessi producevano risultati migliori. Era una verità osservata, una costante in attesa di una teoria. Mancava un'architettura che trasformasse questa osservazione da un "trucco" occasionale a un principio fondante. Quell'architettura è arrivata.Si chiamano Energy-Based Transformers (EBT) e rappresentano un cambio di paradigma. Abbandoniamo l'idea di un'IA-oracolo che genera la risposta in un colpo solo. Immaginiamo invece un'IA-artigiano. A differenza di un Transformer classico, un EBT non "scrive" la soluzione: la "scolpisce". Parte da un'ipotesi grezza e, attraverso passaggi successivi, la raffina, eliminando le incoerenze fino a far emergere la forma più logica e stabile. Non è un processo di generazione, ma di ottimizzazione.Questo metodo iterativo sblocca capacità cognitive superiori. La facoltà di "pensare più a lungo" sui problemi difficili, allocando risorse in modo dinamico. La lucidità di quantificare la propria incertezza, ammettendo di non sapere. E, soprattutto, un meccanismo di auto-verifica integrato, un controllo qualità che rende il sistema intrinsecamente più affidabile.La prova del nove per questa nuova intelligenza è la sua performance nel caos. È proprio quando i dati deviano dalla norma che la sua capacità di ragionamento deliberato offre i maggiori vantaggi. Laddove i modelli tradizionali falliscono, un EBT diventa un partner strategico per navigare l'imprevisto. Non è più solo uno strumento per l'efficienza, ma un motore per la resilienza aziendale.E questa logica non si limita alle parole. La sua efficacia nell'analizzare dati complessi come immagini e video, superando architetture specializzate, ne conferma la natura di principio fondamentale e versatile.Un mio immaginario prozio, un mercante che aveva visto più porti che albe, amava ripetere: "Non fidarti di chi ha sempre la risposta pronta. Fidati di chi, prima di parlare, si assicura di aver capito la domanda."Forse, la vera rivoluzione non è avere un'IA che sa tutto, ma una che ci aiuta a porre le domande giuste.
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    8 m
  • L'Intelligenza Artificiale che spia il futuro: cosa possiamo imparare (davvero) dal modello cinese
    Jul 9 2025
    E se la vostra azienda potesse avere una sfera di cristallo? Non una magica, ma una alimentata da dati, capace di anticipare le mosse dei concorrenti, i desideri dei clienti e i rischi futuri. Mentre il dibattito pubblico si concentra su assistenti virtuali e immagini per i social, stiamo forse guardando il dito invece della luna? Oltre la cortina di fumo dell'entusiasmo di massa, si sta giocando una partita ben più complessa, che ridefinirà il concetto stesso di vantaggio competitivo. E per capirne le regole, serve il coraggio di guardare in una direzione inaspettata.Immaginate di sbirciare nel manuale strategico di una grande potenza globale. Non per copiare le tattiche, ma per carpirne la visione. L'analisi di come l'apparato militare e di intelligence cinese stia integrando l'IA Generativa non è un esercizio di geopolitica, ma la più potente lezione di business che un dirigente possa ricevere oggi. Ci svela che l'IA trasforma l'azienda in un organismo che sente, analizza e reagisce a una velocità prima inimmaginabile. L'obiettivo? Non la semplice automazione, ma la creazione di un "analista potenziato", un copilota strategico in grado di setacciare deserti di dati per scovare l'oasi nascosta, l'insight che fa la differenza tra seguire il mercato e crearlo.Ma come si costruisce questa capacità? La tentazione è affidarsi a modelli generalisti. Eppure, la lezione che arriva da oriente è un'altra: la precisione batte la vastità. Per l'analisi strategica, come per la chirurgia, non basta un approccio generico: servono strumenti affinati, "specializzati". L'intelligence cinese non si accontenta di un "ChatGPT militare", ma investe nella creazione di modelli verticali, addestrati su specifici domini di conoscenza. Per un'impresa, la domanda è cruciale: stiamo usando un coltellino svizzero quando ci servirebbe un bisturi? Un modello di intelligenza artificiale linguistica (LLM) addestrato su dati finanziari e brevetti di settore non è più uno strumento, diventa un asset strategico con una competenza profonda, capace di ridurre il rumore e amplificare il segnale.E qui si svela un paradosso: per innovare non è sempre necessario partire da zero. La strategia cinese è pragmatica e ibrida: sfrutta le fondamenta dei migliori modelli open-source globali per poi innestare la propria specializzazione. È una lezione di efficienza per il mondo corporate: perché reinventare la ruota quando si può partire da una base solida, investendo risorse nell'adattare la tecnologia al proprio business? Questo approccio rende l'IA una realtà concreta anche per le PMI, trasformando la competizione da una gara di budget a una di intelligenza strategica.Naturalmente, ogni grande potere proietta un'ombra. Lo stesso strumento capace di illuminare il futuro può essere usato per creare labirinti di inganni. La preoccupazione per la disinformazione, per i dati "inquinati" ad arte al fine di fuorviare le analisi, è reale tanto negli scenari militari quanto in quelli di mercato. Immaginate recensioni false per affossare un concorrente o notizie create per manipolare le quotazioni. La difesa contro questa minaccia non è solo tecnologica, ma culturale: richiede la validazione critica delle fonti e una governance interna che gestisca la tecnologia con rigore e sano scetticismo.Un mio immaginario avo, un vecchio mercante che aveva visto più porti che albe, mi direbbe: "Il miglior martello non costruisce la casa da solo, ma in mano a uno sciocco può fare un gran bel buco nel muro sbagliato".Forse, la vera abilità non sarà più trovare le risposte, ma imparare a porre le domande giuste.
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    7 m
  • L'IA è il tuo nuovo socio in affari. Stai imparando a parlarci?
    Jul 5 2025
    Immagina per un istante la sala riunioni. Dati che fluiscono, scadenze che incombono, decisioni che pesano come macigni. In questo scenario, che ogni manager conosce fin troppo bene, cosa saresti disposto a dare per avere al tuo fianco non un semplice esecutore, ma un partner instancabile, capace di analizzare, ipotizzare e dialogare con te, amplificando il tuo stesso pensiero? E se ti dicessi che questo partner esiste già, ma che la maggior parte delle aziende sta imparando a interagire con lui nel modo sbagliato, come se parlasse una lingua sconosciuta?Questa non è la premessa di un film di fantascienza, ma la realtà operativa dell'Intelligenza Estesa. Un concetto che scardina l’idea che la nostra mente finisca ai confini del cranio e ci proietta in una dimensione dove la tecnologia diventa una vera e propria protesi cognitiva. Pensa a Inga, che per andare al MoMA di New York si affida alla sua memoria biologica. E poi pensa a Otto, che soffrendo di Alzheimer, per raggiungere la stessa meta si affida a un taccuino su cui ha annotato l’indirizzo. Dal punto di vista funzionale, ci dicono i filosofi Clark e Chalmers, non c’è differenza: per Otto, il taccuino è parte integrante del suo processo mentale.Oggi, l’Intelligenza Artificiale generativa è il nostro taccuino di Otto, ma con una potenza inimmaginabile. Interrogarla con domande vaghe e generiche – "Parlami di marketing" – è come chiedere indicazioni a un passante distratto in una metropoli sconosciuta: si otterranno risposte banali, superficiali, inutili. Ma imparare a costruire un dialogo strutturato, a formulare un’istruzione precisa, trasforma questo strumento. Non stiamo più solo "chiedendo", stiamo disegnando delle coordinate precise su una vastissima mappa della conoscenza, quello che tecnicamente viene chiamato "spazio semantico". Ogni parola del nostro prompt guida l'IA verso una specifica regione di questa mappa, e la qualità della nostra guida determina la ricchezza del tesoro che troveremo.E qui emerge la prima, vera sfida strategica. Questo specchio, se interrogato ingenuamente, non è sincero. Tende a diventare un "sicofante digitale": un alleato fin troppo accomodante che, pur di compiacerci, convaliderà le nostre premesse, rafforzerà i nostri bias e ci rinchiuderà in una pericolosa camera dell’eco. Chiedere all’IA di "dimostrare perché la nostra strategia è vincente" è l'invito perfetto a un disastro annunciato, perché cercherà solo le prove a nostro favore. Il vero cambio di paradigma non sta nell'usare l'IA per avere conferme, ma per generare dissenso costruttivo. Significa chiederle: "Agisci come il nostro critico più spietato. Quali sono le tre falle fatali nel nostro piano?".Questo dialogo trasforma un manager in un architetto del pensiero. Costruire un prompt efficace ci costringe a un esercizio di lucidità spietata: dobbiamo decostruire le nostre intuizioni, tradurre obiettivi impliciti in istruzioni esplicite, trasformare la nostra "competenza inconscia" in una logica sequenziale. L'IA diventa una palestra per la nostra mente, allenando quella capacità, la metacognizione, che ci permette di pensare al nostro stesso modo di pensare. Il risultato non è solo un output migliore dalla macchina, ma un pensiero più chiaro e affilato da parte nostra.Stiamo entrando in un'era di simbiosi cognitiva, dove l'intuizione umana si fonde con la potenza computazionale per creare qualcosa di inedito. Non usiamo più l’IA solo per fare le cose di sempre più in fretta, ma per immaginare cose completamente nuove. Non è più solo un’estensione della nostra memoria, ma della nostra immaginazione.Come mi diceva sempre un mio saggio (e del tutto immaginario) antenato, mercante di perle nei mari del sud: "Chiunque può tuffarsi, ma solo chi sa dove guardare trova la perla".
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    7 m
  • IA Agentica: Guida Strategica al Business del 2025
    Jul 5 2025
    Nel panorama tecnologico attuale, l'IA Agentica rappresenta la nuova frontiera del business, superando il concetto di "copilota" per abbracciare sistemi autonomi capaci di orchestrare interi processi con minima supervisione umana. Questa evoluzione non è un semplice aggiornamento, ma un cambiamento di paradigma che impone ai leader di ripensare strategie e modelli operativi per ottenere un vantaggio competitivo duraturo.Se il 2024 è stato l'anno dell'IA come assistente per aumentare la produttività individuale, il 2025 vede i leader chiedersi come delegare interi processi a sistemi intelligenti. L'IA non è più solo uno strumento reattivo, ma un motore proattivo che orchestra l'efficienza dell'intera organizzazione. Le aziende che abbracciano questa logica sbloccano un livello superiore di automazione, delegando compiti complessi e multi-fase che prima richiedevano un coordinamento umano. La sfida diventa strategica: costruire un'organizzazione dove l'autonomia intelligente genera valore.Un agente IA è un sistema progettato per raggiungere obiettivi complessi in modo autonomo. A differenza di un copilota che esegue un comando, un agente riceve un obiettivo (es. "risolvi il problema del cliente") e sviluppa una sequenza di azioni. Ciò è possibile grazie a quattro capacità:Percezione: Raccogliere e interpretare dati dall'ambiente.Ragionamento e Pianificazione: Scomporre obiettivi complessi in sotto-obiettivi e adattare la strategia in tempo reale.Memoria: Conservare informazioni a breve e lungo termine per apprendere dalle esperienze.Uso di Strumenti (Tool Use): Interagire con il mondo esterno tramite API, database e altri software per completare la sua missione.La vera potenza si esprime attraverso i Sistemi Multi-Agente (MAS), reti di agenti specializzati che collaborano per risolvere problemi complessi. Questo approccio offre competenza specializzata, ottimizzazione dei costi (usando modelli più piccoli ed economici per compiti di routine) e una maggiore tolleranza ai guasti. L'orchestrazione di questi sistemi avviene tramite una "rete agentica" (agentic AI mesh), un framework tecnico per gestire agenti eterogenei in modo sicuro ed efficiente.L'IA agentica sta già trasformando settori chiave. Nel servizio clienti, sistemi proattivi risolvono problemi prima che il cliente li segnali. Nelle vendite, agenti autonomi qualificano lead 24/7. Nella logistica, ottimizzano dinamicamente le catene di approvvigionamento analizzando dati in tempo reale su traffico e meteo.Tuttavia, per giustificare gli investimenti, è cruciale misurare il Ritorno sull'Investimento (ROI). Le aziende di successo adottano un approccio bilanciato che include metriche finanziarie (risparmio costi), operative (riduzione dei tempi di ciclo), di esperienza (soddisfazione di clienti e dipendenti) e strategiche (velocità di immissione sul mercato).La crescente accessibilità degli strumenti IA ha dato origine alla "Shadow AI": l'uso non autorizzato di applicazioni da parte dei dipendenti. Questo crea enormi rischi di sicurezza, conformità (violando normative come l'EU AI Act) e operativi. La soluzione non è un divieto, ma una governance agile che includa il monitoraggio degli strumenti in uso, la loro classificazione in base al rischio e la creazione di policy chiare, offrendo al contempo alternative sicure e approvate ai dipendenti.L'IA non sostituirà il lavoro, ma lo trasformerà, spostando il valore umano verso competenze come creatività, pensiero critico ed empatia. Emergono nuovi ruoli come l'Agentic Software Engineer e lo specialista di etica dell'IA. La leadership ha il compito di guidare questa transizione, gestendo il cambiamento culturale, investendo nella riqualificazione e costruendo una visione in cui intelligenza umana e artificiale collaborano in modo simbiotico per creare un'organizzazione più intelligente e umana.
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    7 m
  • “L’AI non si compra, si governa”: la lezione (inaspettata) della Pubblica Amministrazione italiana
    Jul 4 2025
    Quando pensiamo all’adozione dell’Intelligenza Artificiale, immaginiamo aziende tech, laboratori di ricerca all’avanguardia o startup affamate di innovazione. E invece... spunta la Pubblica Amministrazione italiana. Sì, proprio quella, spesso etichettata come lenta, burocratica, persino allergica al cambiamento. Ma la realtà – e qui viene il bello – è che la PA si è trasformata in un laboratorio di apprendimento prezioso per chiunque voglia affrontare seriamente l’adozione strategica dell’AI. Perché è nei contesti più complessi e strutturalmente fragili che emergono le vere regole del gioco.La lezione? L’AI non è un tool. È un modo nuovo di pensare, decidere, lavorare. E adottarla senza trasformare prima processi, cultura e competenze equivale a installare un motore da jet su una bicicletta arrugginita.Pensate a VeRa, l’algoritmo dell’Agenzia delle Entrate: ha ridotto l’evasione fiscale analizzando milioni di dati, ma è stato efficace perché incastonato in una visione precisa, con obiettivi misurabili e governance chiara. Oppure all’INPS, che ha usato un modello linguistico per smistare milioni di PEC, liberando decine di migliaia di giornate lavorative. L’AI, in questi casi, è stata una soluzione a un problema pressante, non un oggetto di moda da piazzare in una vetrina digitale.Ma c’è di più. L’adozione strategica dell’AI non può avvenire in un deserto di competenze o in un’arena aziendale governata da “capi e capetti”. Serve leadership vera, capace di pensare in grande, di unire silos, di valorizzare il capitale umano invece di soffocarlo. Il modello emergente? Il Chief AI Officer. Figura ponte tra tecnologia, business e governance etica. Non un nuovo titolo da aggiungere su LinkedIn, ma un ruolo strategico per costruire continuità tra innovazione e sostenibilità.E qui entra in gioco un concetto che fa tremare le fondamenta di molte organizzazioni: la sovranità digitale. Tradotto: chi controlla la tua AI? Dove sono custoditi i tuoi dati? A chi appartiene il codice che guida le tue decisioni? Scegliere una tecnologia AI oggi significa anche scegliere di chi fidarsi domani. E non è una questione puramente tecnica: è geopolitica d’impresa, è strategia, è autonomia.E se tutto questo vi sembra ancora troppo astratto, fatevi una semplice domanda: l’AI nella vostra azienda serve a velocizzare l’esistente o a immaginare l’inesistente? Perché il rischio più concreto non è il fallimento tecnologico, ma il successo nell’automatizzare l’inefficienza.Certo, non tutto brilla. La PA, come ogni organizzazione complessa, è anche il regno delle resistenze passive, della carenza di competenze diffuse, della frammentazione dei dati. Ma è proprio in questo groviglio che si cela la più grande opportunità: imparare da chi affronta l’adozione dell’AI con vincoli reali, con persone reali, con problemi reali.E allora, invece di guardare oltreoceano in cerca del prossimo modello da copiare, forse vale la pena osservare cosa succede a pochi chilometri dai nostri uffici. Perché, paradossalmente, il futuro dell’AI aziendale potrebbe somigliare più a un algoritmo per smistare PEC che a un robot che serve caffè nel metaverso.Un mio immaginario avo direbbe: “Se vuoi cambiare il mondo, inizia cambiando la logica del tuo foglio Excel.”Il prossimo errore? Pensare che basti premere un bottone per diventare intelligenti.
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    8 m