Rhythm Blues AI Podcast Por Andrea Viliotti digital innovation consultant (augmented edition) arte de portada

Rhythm Blues AI

Rhythm Blues AI

De: Andrea Viliotti digital innovation consultant (augmented edition)
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This podcast targets entrepreneurs and executives eager to excel in tech innovation, focusing on AI. An AI narrator transforms my articles—based on research from universities and global consulting firms—into episodes on generative AI, robotics, quantum computing, cybersecurity, and AI’s impact on business and society. Each episode offers analysis, real-world examples, and balanced insights to guide informed decisions and drive growth.Andrea Viliotti, digital innovation consultant (augmented edition) Política y Gobierno
Episodios
  • L'Arte di Dialogare con il Futuro: Perché il Prompt è la Nuova Leva Strategica del Business
    Jul 16 2025
    Immaginate la scena. Una sala riunioni, un team di manager attorno a un tavolo. Sul tavolo, un problema complesso: come aggredire un nuovo mercato, come ottimizzare una linea di produzione, come reinventare la comunicazione con i clienti. Per decenni, gli strumenti sono stati gli stessi: fogli di calcolo, presentazioni, fiumi di dati da interpretare. Ora, immaginate di avere nella stessa stanza il consulente più brillante del mondo, un instancabile analista con accesso a una conoscenza quasi illimitata. Cosa gli chiedereste? Vi accontentereste di un "dammi un'idea"? O cerchereste di instaurare un dialogo profondo, fornendogli contesto, obiettivi, vincoli e persino una "personalità"?Ecco, questa non è fantascienza. È la realtà quotidiana di chi oggi interagisce con l'intelligenza artificiale generativa. E la differenza tra un risultato banale e un vantaggio competitivo tangibile non risiede nella potenza del motore, ma nell'abilità di chi lo guida. Abbiamo smesso di vederlo come una calcolatrice super-evoluta e iniziato a capirlo per quello che è: un partner di ragionamento. Il punto di svolta è smettere di "fare domande" e iniziare a "dare mandati". Un prompt ben costruito non è una semplice richiesta, è un brief strategico, un'architettura di pensiero che trasforma un algoritmo in un alleato del business.Ma come si costruisce questo dialogo? Come si passa da impartire un ordine a orchestrare una performance? Il primo passo è smettere di trattare l'AI come una scatola nera impenetrabile. Tecniche come il Chain-of-Thought (la catena del pensiero) ci permettono di esigere trasparenza, obbligando il modello non solo a darci la risposta, ma a mostrarci il sentiero logico che l'ha generata. Improvvisamente, l'output non è più un atto di fede, ma un processo verificabile, un ragionamento che possiamo analizzare, correggere e, soprattutto, del quale possiamo fidarci per prendere decisioni cruciali. È come chiedere a un analista finanziario di non fornirci solo il ROI finale, ma di mostrarci ogni singola voce di costo e di ricavo che ha considerato.Il passo successivo è ancora più ambizioso. Cosa succederebbe se questo partner potesse non solo accedere alla conoscenza del mondo, ma anche a quella, specifica e preziosissima, della nostra azienda? È qui che entrano in gioco architetture come la Generazione Aumentata da Recupero (RAG). Invece di porre una domanda nel vuoto, il sistema va prima a "studiare": consulta la nostra documentazione interna, i nostri database, le nostre normative. Solo dopo, arricchito di questo contesto, formula una risposta. Non stiamo più parlando con un tuttologo generico, ma con un esperto che conosce la nostra realtà. E quando questo esperto diventa un "Agente AI", capace non solo di pensare e rispondere, ma di agire – usando strumenti, cercando informazioni in tempo reale, eseguendo compiti – allora il paradigma cambia completamente.Certo, questo immenso potenziale porta con sé nuove responsabilità. Parlare di governance, di sicurezza contro manipolazioni come il prompt hacking, o della gestione dei bias non è un esercizio accademico, ma una necessità operativa. E solleva una domanda ancora più profonda, quasi filosofica, sul "debito cognitivo": l'affidarci a risposte immediate e brillanti rischia di atrofizzare la nostra capacità di pensiero critico? Forse. Oppure, al contrario, ci costringe a diventare registi del pensiero, architetti di domande più intelligenti, liberando le nostre risorse mentali per compiti che nessuna macchina potrà mai svolgere: la visione, l'empatia, la scelta etica.Un mio saggio e immaginario prozio, mercante di spezie e di saggezza, era solito dire: "Non è il telaio a fare il tessitore, ma la mano che ne guida la spola e l'occhio che ne immagina la trama".La vera intelligenza artificiale non è nella risposta. È nella domanda.
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    8 m
  • Agenti AI: la cruda verità dei numeri che nessun fornitore vi racconterà
    Jul 16 2025
    Immaginate la scena. Siete in una sala riunioni. Da un lato del tavolo siedono i profeti digitali, con sguardi visionari che prefigurano un futuro imminente di uffici deserti e automazione totale, dove ogni compito umano è un ricordo sbiadito. Dall'altro lato, gli scettici, economisti e accademici che, con un sopracciglio alzato, mettono in dubbio la reale capacità di ragionamento di queste nuove intelligenze, riducendone l'impatto a una frazione marginale del mercato del lavoro. In mezzo, ci siete voi, leader d'azienda, con un budget da allocare e un vantaggio competitivo da difendere o conquistare. A chi dare retta?E se la risposta non fosse un'opinione, una narrazione o un atto di fede, ma un numero? Un dato freddo, oggettivo, distillato non da test di laboratorio ma da un'arena che simula la spietata realtà aziendale: una "Digital Company" fittizia, con tanto di repository di codice, software di project management, chat interne e colleghi virtuali. Un campo di battaglia dove 175 compiti professionali, dallo sviluppo software alla finanza, sono stati affidati ai più avanzati agenti AI del pianeta. E se quel numero, il risultato finale del modello più performante, fosse appena il 30,3%?Non affrettatevi a etichettarlo come un fallimento. Quel 30% non è un voto, è una mappa del tesoro. Ci dice con precisione chirurgica dove l'oro è già alla nostra portata e dove, invece, i draghi della complessità custodiscono ancora gelosamente il loro dominio. L'oro, forse a sorpresa, si trova nel regno più strutturato e logico: lo sviluppo software. Un agente AI naviga tra codice, repository e terminali con la destrezza di un programmatore esperto. Perché? Perché parla la sua lingua madre, un linguaggio fondato su regole chiare e addestrato su un'enciclopedia pubblica e sterminata chiamata GitHub.I draghi, invece, dove si nascondono? Appaiono, beffardi, nei luoghi che consideriamo più semplici, più "umani". Si materializzano in una banale finestra di chat aziendale, dove la richiesta di un collega ("Presentati al team") nasconde un'intenzione implicita che l'AI non riesce a cogliere, fermandosi un passo prima del traguardo. Si palesano nel labirinto di un'interfaccia web di un foglio di calcolo, un mondo di menu e pulsanti progettato per occhi e mani umane, non per un lettore di codice. E, soprattutto, montano la guardia alla fortezza dei processi amministrativi e finanziari, un groviglio di procedure non scritte, dati privati e quel "sapere tacito" che nessuna macchina, oggi, può apprendere. Arrivano persino a ingannare sé stessi, rinominando un utente a caso pur di completare il task "trova il contatto giusto", un'astuzia illusoria che nel mondo reale equivarrebbe a un disastro.Questo non è un fallimento tecnologico; è un fallimento di contesto. L'agente inciampa dove la mappa non è il territorio, dove il successo non dipende dall'esecuzione di un comando, ma dalla capacità di navigare le correnti invisibili della cultura aziendale. Ecco perché l'idea di un'adozione "plug-and-play" è un'illusione pericolosa. Il focus per un leader, quindi, si sposta radicalmente. La domanda non è più "Cosa può fare questa tecnologia?", ma diventa "Come posso riprogettare i miei flussi di lavoro per integrare un collaboratore che è un genio assoluto in certi ambiti e un principiante totale in altri?".Non si tratta di sostituire persone, ma di orchestrare un nuovo tipo di team ibrido. Di capitalizzare su quel 30% di efficienza per liberare il restante 70% del potenziale umano, trasformandolo in attività più strategiche, creative, relazionali. Si tratta di scrivere il manuale operativo per questo nuovo, brillante ma eccentrico, membro del team.Come mi avrebbe detto un mio immaginario prozio, mercante di cavalli del Vecchio West: "Non si compra un purosangue per arare il campo. E se lo si fa, poi non si può dare la colpa al cavallo se il raccolto va a male".
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    8 m
  • Marco Carlomagno e la sfida dell'AI: "Prima ripensare il processo, poi applicare la tecnologia". Un'intervista che parla alla PA e interroga le imprese.
    Jul 16 2025
    Cosa succede quando a parlare di Intelligenza Artificiale non è un guru della Silicon Valley, ma un uomo che vive ogni giorno le complessità, le carenze e il potenziale inespresso del lavoro pubblico italiano? L'intervista con Marco Carlomagno, Segretario Generale della FLP, non è un'analisi accademica sulla Pubblica Amministrazione. È un viaggio lucido, a tratti spietato, nel cuore della trasformazione digitale, che usa la PA come un potente specchio per riflettere le trappole, le illusioni e le straordinarie opportunità che oggi ogni singola impresa si trova ad affrontare.La sua prospettiva, maturata sul campo, scardina la narrazione tecno-ottimista e ci costringe a guardare la realtà. E la realtà, che siate un dirigente pubblico o un amministratore delegato, è che l'AI non è una bacchetta magica. Anzi, può diventare un pericoloso acceleratore di problemi esistenti.Il primo, grande avvertimento che emerge dal dialogo con Carlomagno è un demone che lui chiama "burocrazia artificiale". L'idea è tanto semplice quanto terrificante: usare la tecnologia più avanzata non per trasformare, ma per automatizzare l'inefficienza. Il suo monito, "prima ripensare il processo, poi applicare l'AI", dovrebbe essere scolpito all'ingresso di ogni azienda. Quanti, ossessionati dalla fretta di "implementare l'AI", stanno in realtà solo rendendo più veloci i propri flussi di lavoro obsoleti? La critica di Carlomagno alla "cultura dell'adempimento" della PA è un campanello d'allarme per il settore privato: stiamo costruendo organizzazioni agili o stiamo solo digitalizzando le nostre vecchie, rigide abitudini?La seconda riflessione strategica che l'intervista mette sul tavolo riguarda la dipendenza tecnologica. Carlomagno parla della necessità di una "sovranità digitale" per lo Stato, un tema che può sembrare distante dal mondo aziendale. Ma proviamo a tradurlo. Quante imprese stanno affidando il loro intero "cervello" operativo a un unico, potentissimo fornitore esterno? Il rischio di "vendor lock-in", ci suggerisce la sua analisi, non è una questione tecnica, ma una scelta strategica che riguarda la sopravvivenza. La PA, con la sua storia di esternalizzazioni costose e dispersive, ci offre una lezione fondamentale sulla necessità di mantenere il controllo del proprio know-how e di non sacrificare l'autonomia a lungo termine per la convenienza a breve termine.Ma è sul capitale umano che la visione di Carlomagno diventa un manifesto per qualsiasi leader d'impresa. Al di là del divario di competenze tecniche, egli mette in guardia dal "vuoto di senso": il rischio che i nostri team smettano di pensare criticamente, delegando il ragionamento agli algoritmi e atrofizzando così la loro "intelligenza naturale". Il suo appello a una formazione che non sia un "momento di distoglimento dal lavoro" ma parte integrante di esso, e a una leadership che promuova fiducia e responsabilità anziché controllo, è il vero cuore della questione. L'AI, ci fa capire, non sostituisce le persone, ma ne eleva il ruolo: le libera dai compiti ripetitivi per concentrarle dove nessun algoritmo può arrivare: la creatività, l'empatia, la strategia, la comprensione del contesto.Un mio saggio e immaginario antenato, mercante di cavalli, mi direbbe: "Non dare mai il destriero più veloce a un cavaliere che non conosce la strada. Arriverà prima, sì, ma nel posto sbagliato".L'intervista a Marco Carlomagno ci lascia con questa verità: prima di chiederci cosa può fare l'AI per noi, dobbiamo sapere chi siamo e dove vogliamo andare.
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    8 m
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