Episodios

  • Ep. 78: Mathieu Jouvin - Il sovrintendente francese che ha rilanciato il Teatro Regio
    Jun 24 2025

    Mathieu Jouvin, sovrintendente del Teatro Regio da tre anni, racconta la rinascita di una delle istituzioni culturali più prestigiose d'Italia. Il dirigente francese ha trasformato un teatro in crisi in un punto di riferimento internazionale per l'opera.La passione nasce a Montpellier, dove il nonno faceva la coda all'Opéra Garnier per i biglietti della Callas. A dieci anni vede Carmen, ma il colpo di fulmine arriva a diciassette con Cavalleria Rusticana: "Ho percepito emozioni che non avevo mai percepito nell'arte, un'emozione pazzesca". Da autodidatta, sviluppa un amore per la scoperta che caratterizzerà la sua direzione: "Mi piace molto scoprire e ogni stagione cerchiamo di portare cose meno conosciute per incuriosire".Dopo studi in economia, uno stage all'Opera di Parigi "mi salva la vita". A 24 anni gestisce il budget di 750 persone, imparando ogni mestiere del teatro: "Va bene gestire le cifre, ma se non sai cosa c'è dietro non capisci nulla". Seguono nove anni all'Opera di Lione, dove diventa "migliore opera al mondo", e quattro al Théâtre des Champs-Élysées.L'arrivo a Torino nel 2022 rappresenta la sfida più grande. Il Regio aveva problemi economici e commissariamento. "Mi sono messo nella lavatrice", ammette, descrivendo mesi intensi di riorganizzazione totale. "Il teatro aveva bisogno di essere rimesso a posto, mancavano tante figure apicali", mentre doveva garantire la continuità artistica e programmare il futuro.La strategia richiedeva equilibrio estremo: "Era una tensione permanente tra proporre qualcosa di originale, sapendo che non eravamo attrezzati. Era giocare con il limite". I primi mesi furono difficili, con "telefonate anonime, rumori" e clima mediatico ostile.Il successo arriva gradualmente: premio Abbiatti per Juve, poi per Manon. "Questo ha dimostrato che qualcosa stava succedendo". L'innovazione delle anteprime giovani diventa un fenomeno: "Vedere tutti questi giovani che si sono appropriati il teatro è bellissimo", riflettendo la filosofia "Il Regio è di tutti".La programmazione segue sempre un filo conduttore. "L' Amour Tojours" ruotava intorno a Puccini e l'amore, "La meglio gioventù" sui giovani. La nuova stagione "Rosso" esplorerà "questa tensione tra desiderio e violenza", citando Malraux: "Cerco questa regione dell'anima dove il male si oppone alla fratellanza".Jouvin ama profondamente Torino, citando Eco: "Senza l'Italia Torino sarebbe comunque Torino". Apprezza la modestia e il rapporto serio con il lavoro: "È come un segreto nascosto, un gioiello conosciuto solo da chi sa". La città permette libertà artistica: "Ci sentiamo molto liberi di proporre quello che vogliamo".Oggi la trasformazione è completa: "Non ho più bisogno di intervenire sulla vita quotidiana. Siamo riusciti a rimettere l'organizzazione a posto". Il pubblico dimostra fiducia anche verso titoli meno noti, segno di una rinascita autentica che ha restituito al Teatro Regio la sua identità e prestigio internazionale.

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    50 m
  • Ep. 77: Guido Catalano - Dal palco alla pagina, trent'anni di poesia vissuta
    Jun 16 2025

    Guido Catalano, 54 anni, poeta torinese in attesa del primo figlio, ha trasformato le difficoltà personali in una professione unica: il "poeta professionista vivente". Trent'anni di carriera che partono dalla musica con il gruppo "Pikkia Froyd" e arrivano ai grandi palchi del Colosseo e dell'Alcatraz milanese."In realtà prima volevo fare il cantante", racconta Catalano. "Io scrivevo i testi e cantavo male, ma scrivevo dei testi divertenti". Quando il gruppo si sciolse, quella passione per il palco rimase: "Mi piaceva questa cosa di stare su un palco e raccontare delle storie". Il passaggio alla poesia fu naturale: "La poesia è autonoma, non dovrebbe avere bisogno della musica".Iniziò nei locali torinesi di fine anni Novanta, partendo dal Caffè Liber. "Andavo dal gestore e c'era un reading di poesia, lui mi guardava male", ma gli eventi funzionavano. Il primo libro, "I cani hanno sempre ragione" (2000), partì con 300 copie. Il titolo stesso illustra la sua poetica: "I titoli li prendo spesso così, cioè li sento, arrivano", nato da una frase casuale di un'amica.La sua poesia si caratterizza per un verso "liberissimo, con una chiave ironica, alle volte comica". Ma precisa: "questa cosa qua non l'ho concepita a tavolino, è venuto naturale". L'origine è terapeutica: "ho iniziato a scrivere poesia per una sorta di autopsicanalisi". Le difficoltà relazionali giovanili divennero materiale poetico: "La difficoltà base era che non trovavo una fidanzata e ero in grave difficoltà con il rapporto con l'altro sesso".Questa sincerità non fu sempre apprezzata. "Per molti anni sono stato bistrattato dai miei colleghi che mi considerano più un cabarettista". Ma rivendica la scelta: "ho scritto una poesia che si chiama Vado a capo a cazzo, per dire, ragazzi, lo ammetto, ma ho bisogno di questa cosa".Nel tempo la sua scrittura è evoluta. Se prima scriveva "una poesia in tre minuti", oggi può impiegare "quattro o cinque giorni". Il processo creativo rimane misterioso: immagina "una specie di portale" che si apre imprevedibilmente. "Succede quando mi succedono cose, cose belle ma spesso anche brutte, lutti".Internet ha rivoluzionato la sua comunicazione. "Il grande passo è stato il blog" nel 2004-2005. "Mi sono detto che scrivo una poesia sul mio blog e potenzialmente il Papa può leggerla". I social hanno amplificato questa possibilità, anche se oggi "mi diverto meno" per i costi promozionali e il clima conflittuale.Curiosamente usa ancora un Nokia 3310: "Sono pigro e non ho voglia di passare allo smartphone", anche se ammette che presto dovrà cedere per praticità.La carriera live è stata fondamentale. Ha fatto "230-240 spettacoli all'anno, tutto da solo", viaggiando in treno con un trolley di libri. "È stata una gavetta incredibile", contrapposta agli artisti attuali che "partono da 0 a 100 in pochissimi secondi".Bukowski è stato un maestro: "mi ha fatto capire che esiste una poesia diversa". Recentemente ha creato "Catalano versus Bukowski", riscoprendo l'aspetto comico del poeta americano.In attesa del figlio, riflette sui rischi creativi. La sua agente lo avverte: "stai attento" nel scrivere sulla paternità. Il pericolo è la banalità: "cadere nella banalità scrivendo d'amore è facilissimo".Per ora legge libri di puericultura, "non per diventare esperto ma perché mi fa star bene". E conclude con il suo umorismo: "diventerò un grandissimo puericultore e scriverò libri su questo, poi diventerò ricco". L'autoironia, marchio di trent'anni di carriera, resiste anche alla trasformazione più grande della sua vita.

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    47 m
  • Ep. 76: Maurizia Rebola - Dal Salone del Libro alle OGR Torino, una vita nella cultura torinese
    Jun 9 2025

    Maurizia Rebola, direttrice delle OGR Torino, racconta una carriera costruita attraverso incontri umani e passione per la cultura. Nata a Carignano negli anni '70 da genitori attivisti del PCI, cresce in una famiglia che le trasmette valori di impegno civile e determinazione. La perdita del padre a 13 anni sul Monviso non spezza il suo legame con la montagna ma la rafforza nella determinazione.Il trasferimento a Torino per l'università nei primi anni '90 segna la scoperta del fermento culturale cittadino. "Mi ricordo gli anni dei Murazzi, gli anni in cui sono nati Africa Unite, Subsonica", racconta, descrivendo anni formativi in cui studio e vita culturale si fondevano.L'ingresso nel mondo professionale avviene per caso nel 1995, come telefonica al Salone del Libro. La sua precisione e iniziativa colpiscono Guido Accornero, avviando una carriera ventennale nell'editoria. Dopo l'esperienza da dipendente, sceglie di diventare consulente spinta da "quella smania di voler vivere mille vite".Fonda la società "Eventualmente" con Palma Daniela Tarantino, lavorando tra Torino e Roma su progetti culturali nazionali. Il passaggio al Circolo dei Lettori rappresenta una maturità professionale, dove incontra Luca Beatrice che diventa "un grande presidente, un grandissimo amico, un fratello".Momento cruciale arriva nel 2017 quando Sergio Chiamparino la chiama per salvare il Salone del Libro dal fallimento. "Butto sempre il cuore oltre l'ostacolo", spiega, riuscendo a organizzare l'evento in cinque mesi e risanarlo finanziariamente.L'approdo alle OGR Torino nel 2020 rappresenta l'ultima evoluzione. "Mi sono rimessa a studiare", confessa, dovendo confrontarsi con innovazione tecnologica e arte contemporanea. Le OGR Torino sono "un pezzo delle sorti di questa città", dove si sperimenta il connubio arte-tecnologia, creando il neologismo "Art Technology" inserito in Treccani.La sua visione di Torino è di "una città perennemente in cambiamento, che non si arrende mai". Non crede in trasformazioni radicali ma in "crescita graduale, costante", sostenuta da fermento culturale che nasce spontaneamente.La filosofia lavorativa si basa su "forza del sorriso, gentilezza, rispetto". È convinta che "vincano sempre rispetto, lealtà e sorriso", principi che guidano un percorso fatto di incontri significativi con personalità come Umberto Galimberti, Yehoshua, David Grossman ed Eduardo Galeano.La storia di Maurizia simboleggia la capacità di Torino di reinventarsi mantenendo la propria identità culturale, trasformando le ex officine ferroviarie in spazi d'avanguardia attraverso passione, competenza e valori umani solidi.

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    32 m
  • Ep. 75: Carola Allemandi - Fotografia tra visione e pensiero
    Jun 2 2025

    Dal caso alla passione: quando l'immagine diventa linguaggio del pensieroIl percorso di Carola Allemandi nella fotografia inizia per caso a 19 anni, quando scopre in cantina la vecchia camera oscura del padre. "Non mi ha mai insegnato nulla, non abbiamo avuto un tipo di rapporto maestro allieva", racconta la fotografa torinese, il cui apprendistato è nato dall'incontro fortuito con Piero Ottaviano durante una serata al bar. "Mi diceva sono rimasto senza assistente, se ti va di provare colgo l'occasione".Quella collaborazione di tre anni è diventata una scuola pratica completa: "Ho avuto modo di avere una scuola molto ampia sul campo, lavorando a bottega fondamentalmente". Un percorso che l'ha portata a sviluppare sia il lavoro commerciale, oggi affiancata dalla compagna Davies Zambotti, sia una ricerca personale attraverso mostre e collaborazioni con gallerie come la torinese Dr. Fake Cabinet.Nel 2021 si apre una dimensione inaspettata: la scrittura sulla fotografia. Segnalata da un'amica (Annalisa Ambrosio) alla rivista "00", Allemandi scopre "il privilegio di commentare, dare una lettura ai lavori di altri autori". Il suo approccio è dichiaratamente non accademico: "Non mi pongo mai né da critica né da storica della fotografia".Il suo metodo parte dall'esperienza visiva diretta: "A me interessa la fotografia come esperienza visiva innanzitutto". La scrittura diventa "molto fotografica", basata sulla visione dell'immagine prima di ogni contestualizzazione storica. "Il rapporto con l'immagine io lo vivo sempre come un innamoramento, l'innamoramento funziona e si basa su quello che vedi".Il primo progetto personale, dedicato al paesaggio urbano notturno dal 2018, racchiude i temi centrali della sua ricerca: sintesi e astrazione. "Dentro la fotografia è sempre il sacrificio di parti in favore di un unico frammento", spiega, descrivendo come cancelli "col nero tutta una parte di architettura del paesaggio" per lasciare "soltanto lo scheletro luministico disegnato da questi lampioni". Il risultato trasforma Torino in immagini universali che "fluttuano in qualcosa che non ha vera concretezza".Torino rappresenta per Allemandi un contesto privilegiato, una città "sempre stata fotografica fin dal XIX secolo" e oggi ricca di istituzioni come Camera, festival come Liquida ed Exposed. Tuttavia invita a un maggiore approfondimento teorico: "Io invito a mettere sul piatto un'altrettanto pressante attività anche teorica sulla fotografia".Guardando al futuro, la sua visione va oltre gli aspetti tecnologici: "Quello che a me interessa di più è la sua divulgazione teorica, riuscire a trasmettere gli insegnamenti del suo linguaggio". Per Allemandi, fotografare significa "vedere, quindi anche pensare, mettersi di fronte al mondo e cercare di interpretare". La sua proposta è rivoluzionaria: riconoscere la fotografia come disciplina umanistica. "La fotografia è considerabile a tutti gli effetti una branca della letteratura e mi piacerebbe vederla nella facoltà di lettere".Il percorso di Carola Allemandi dimostra come la fotografia possa unire dimensione visiva e intellettuale, trasformandosi da semplice pratica artistica a strumento di conoscenza e riflessione critica sul mondo.

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    19 m
  • Ep. 74: Daniele Ratti - L'imperfezione perfetta: il viaggio fotografico tra pellicola e anima
    May 26 2025

    Daniele Ratti, fotografo torinese e architetto di formazione mai professato, ha iniziato il suo percorso artistico a soli 14 anni con l'acquisto di una Rolleiflex 35. La fotografia è diventata il suo scudo contro la timidezza: "La macchina fotografica è sempre stato uno scudo, attraverso la macchina fotografica riuscivo a fare qualsiasi cosa perché è qualcosa che sta tra te e la persona."Dopo gli studi in architettura, Ratti iniziò a lavorare con i fotografi torinesi Piero Italiano e Maren Ollman: "Non c'erano sabati, non c'erano domeniche, poi si inizia sempre con i matrimoni, la più grande scuola di fotografia che c'è." Uno dei primi compiti ricevuti fu fotografare venti persone non attraenti, nude – un esercizio per "cercare il bello nel brutto" che ha segnato il suo approccio.Nel suo lavoro, Ratti persegue la perfezione consapevole che "la perfezione non esiste. La perfezione ha dentro di sé anche l'imperfezione, e l'imperfezione è quella cosa che dà poi alla fotografia un po' più di anima." Confrontando il suo approccio con quello di Mapplethorpe, tecnicamente impeccabile, sottolinea l'importanza dell'emozione oltre alla tecnica.Nonostante le critiche per la mancanza di uno stile univoco, Ratti alterna liberamente bianco e nero e colore, architettura e ritratti. Il suo legame con la pellicola rimane essenziale: "Nasco con la pellicola, per me ha quel fascino che scatto, sbaglierò, non sbaglierò, sarà come verrà... mi piace anche il fatto di essere limitato, ho 36 scatti, 2 rullini, 3 rullini." Questa limitazione impone una disciplina creativa che valorizza ogni scatto.Per il suo viaggio in Giappone, patria del suo fotografo preferito Shoji Ueda, si impose un limite: "Queste sono le mie 30 pellicole, 20 in bianco e nero, 10 a colore, punto, e me ne devo fare bastare." Una scelta che lo ha soddisfatto pienamente.Sulla dualità tra fotografo e artista, Ratti è pragmatico: "Faccio fatica a considerarmi un artista. Io faccio il fotografo. Voglio fermare quell'attimo, quel momento." Che si tratti di lavori commerciali o progetti personali, il suo approccio rimane coerente.I suoi progetti fotografici seguono tempistiche brevi: "Ho bisogno di nuove emozioni, di stimoli, e qualcosa che mi impegna per tantissimo tempo a volte mi prosciuga." La fase di realizzazione fotografica è concentrata, mentre post-produzione ed esposizione richiedono più tempo.L'11 giugno 2025 inaugurerà alle Gallerie d'Italia a Napoli la mostra "Due cuori una capanna: case e architetture dove sono state immense storie d'amore." Un progetto sviluppato in quattro anni e mezzo, dove la fase fotografica è stata breve: "Il corpus di 38-40 case ci ho messo poco a farlo. Tutto quello che viene dopo richiede molto più tempo."Il suo rapporto con Torino è profondo: "Non sono di Torino, ci vivo benissimo, ha un rapporto qualità contro tutto il resto molto alto, mi ha dato tantissimo." Dopo trent'anni in città, ha costruito una rete di relazioni efficace. "È una città dalle potenzialità immense, manca il passettino in più." Secondo lui, Torino dovrebbe "prendersi più cura delle persone che ci abitano, degli artisti."Sul ruolo della fotografia oggi, Ratti osserva: "Per la prima volta nella storia dell'umanità siamo bombardati da immagini. Non ci sono mai state così tante immagini, così tante storie." Questo comporta superficialità: "Abbiamo una soglia di attenzione minima e devi essere bravo a raccontare quello che fai, per tenere una persona anche soltanto 40 secondi davanti a una fotografia."Nell'epoca della "fast photography", l'aspirazione di Ratti è creare qualcosa di duraturo: "Io vorrei che le fotografie che faccio, non dico per sempre, però che rimanga qualcosa." Con umiltà conclude: "Non lo so se sarò fortunato, se fra vent'anni sarò ricordato o completamente dimenticato, però mi piacerebbe che una fotografia fra 50 anni... che bella questa fotografia, di chi è, poi non si ricorderanno di chi è, ma almeno la fotografia c'è."

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    22 m
  • Ep. 73: Davide Ferrario - Un percorso non convenzionale tra cinema, letteratura e arte
    May 19 2025

    Davide Ferrario si definisce "un torinese per caso". Cresciuto a Bergamo fino al 1998, oggi è considerato uno dei registi di riferimento di Torino, città che ha raccontato attraverso i suoi film. Nel dialogo con Carlo De Marchis, Ferrario ripercorre il suo percorso professionale e personale, rivelando come casualità, amore e praticità bergamasca abbiano plasmato la sua carriera.La sua formazione inizia negli anni '70 a Bergamo, in un cineforum con 6.000 soci. "Era diventato più che altro un punto d'incontro," racconta, "c'era tutta la New Hollywood, c'era Antonioni, c'era Easy Rider, quindi andavi a vedere quei film lì poi stavi fuori tutta la sera a parlarne." Questa esperienza gli permette di avvicinarsi al cinema sia artisticamente che commercialmente, distribuendo in Italia registi come Wenders e Fassbinder.Negli anni '80, diventa agente per registi americani indipendenti come Spike Lee e Jarmusch. Una svolta arriva nel 1986, quando trascorre due mesi sul set di John Sayles in West Virginia. Osservando il processo di realizzazione, si convince di poter dirigere: "Un film brutto in più lo posso fare anch'io, peggio di quello che vedo non farò." Inizia così la sua carriera con "La fine della notte".Il rapporto con Torino inizia già negli anni '70, quando frequenta la città per ragioni sentimentali. Contrariamente all'immagine di "grigia Torino degli anni di Piombo," lui ne ricorda l'energia: "Io questa città l'amavo molto perché proprio in quel conflitto c'era tanta energia." Rammenta una Torino culturalmente vivace, con la Giunta Novelli che portava la cultura in periferia.La svolta professionale e personale arriva con "Tutti giù per terra" (1997), tratto dal romanzo di Culicchia e interpretato da Mastandrea. Durante le riprese, si innamora dell'assistente scenografa, che diventerà la sua compagna. "È stato l'amore che mi ha portato qua, l'amore che ancora mi tiene ma forse anche tanto altro adesso."Ferrario descrive Torino come "camaleonte": "È una città che ha una forte identità sua ma tu attraversi una strada e cambi completamente quartiere." Nel periodo dei Murazzi, apprezza l'atmosfera della città: "Era davvero una città provinciale in senso positivo, costruivi dei rapporti umani che poi diventavano anche rapporti di lavoro e di creatività."Il legame con la città si cementa con "Dopo mezzanotte" (2004), realizzato con fondi personali, che ottiene successo internazionale. "Se andava male eravamo tutti sotto un trailer e probabilmente adesso non sarei qui a raccontare queste storie."Un aspetto fondamentale del suo approccio è il bilico tra professionalità e dilettantismo. "Io amo molto le persone che sanno fare bene il loro lavoro prima delle chiacchiere," spiega, ma rifiuta l'idea che l'identità di una persona si riduca al mestiere: "Non vuol dire appiattire la persona solo a quello." Questa filosofia gli permette di muoversi tra diversi mezzi espressivi: cinema, letteratura, installazioni.Il suo primo romanzo, "Dissolvenza al nero", nasce nel 1994 come sfida dopo aver letto un bestseller di Crichton. Quattordici anni dopo pubblica "Sangue mio", ispirato alla sua esperienza come volontario in carcere, e nel 2023 esce "L'isola della felicità", una satira su Nauru, minuscola repubblica che rappresenta una metafora della civiltà occidentale.A quasi settant'anni, Ferrario si trova in una fase curiosa della carriera, passando con disinvoltura tra diversi mezzi espressivi. Questa versatilità riflette il suo rifiuto di etichette: "Due cose fuggo come la peste: l'autobiografismo e la psicologia." Preferisce costruire la sua fiction su basi reali, su ricerche o esperienze dirette.Riflessivo sulla mancanza di utopia nel mondo contemporaneo, si considera un figlio degli anni '70: "Noi siamo cresciuti in un paese in cui non c'era il divorzio e c'era il delitto d'onore. Non si deve dimenticare queste robe qua."

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    37 m
  • Ep. 72: Alessandra Avico - La voce grave dell'orchestra: vita da primo contrabbasso
    May 13 2025

    Alessandra Avico, primo contrabbasso dell'Orchestra del Teatro Regio di Torino, racconta il suo percorso musicale in un viaggio che parte dall'infanzia fino a raggiungere l'apice della carriera orchestrale. Nata e cresciuta a Torino, Alessandra ha scoperto presto l'amore per la musica, un sentimento che continua ad accompagnarla nella sua vita professionale.La sua storia musicale inizia con il pianoforte a 8 anni e poi durante le scuole medie, uno strumento che le piaceva molto ma che non sentiva completamente suo. "Era uno strumento davvero molto interessante che però non sentivo come mio," confessa Alessandra parlando dei suoi primi approcci alla musica. Figlia d'arte – suo padre era trombonista – ha respirato musica sin da piccola, sebbene la scelta di intraprendere questa strada sia stata completamente sua.La svolta avviene quando, su consiglio della sua insegnante di pianoforte, decide di orientarsi verso uno strumento che le avrebbe permesso di suonare in orchestra. L'incontro con il contrabbasso è stato decisivo: "Il contrabbasso che era uno strumento sicuramente più suonato dagli uomini all'epoca," ricorda Alessandra, "ma questa lezione che avevo ascoltato in conservatorio in realtà era di una donna che si stava diplomando e questa cosa mi aveva veramente fatta innamorare di questo strumento."La giovane musicista prosegue gli studi al conservatorio con il contrabbasso parallelamente alle scuole medie, trovando finalmente la sua vera identità musicale. "Il contrabbasso è diventato davvero un amore, una passione," racconta con entusiasmo, "mentre il pianoforte mi piaceva tantissimo ma non era cucito su di me come strumento."Il percorso formativo di Alessandra si è rivelato impegnativo, divisa tra il liceo e gli studi al conservatorio. "La vita del musicista che vuole intraprendere una strada mirata alla professione è sicuramente difficile," spiega, evidenziando come la scuola italiana non faciliti chi vuole diventare musicista professionista. Dopo il diploma al conservatorio, decide di perfezionarsi all'estero, a Ginevra, dove si confronta con un ambiente internazionale che le apre le porte al mondo della musica professionale.Le prime audizioni arrivano presto: Teatro alla Scala, La Fenice, il Maggio Fiorentino. "Questo sarà il mio mestiere, mi piace, è molto faticoso ma è bellissimo perché è la passione che si fonde con il lavoro," riflette Alessandra sulla sua scelta professionale. Dopo alcune esperienze all'estero, comprende che l'Italia è "il posto del suo cuore" e torna nel suo Paese.Il 2019 segna un punto di svolta nella sua carriera con la vittoria del concorso da contrabbasso di fila all'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. "Questo per me è assolutamente un sogno, un sogno che si realizza," afferma con orgoglio. "Era anche un po' il sogno di mio papà... vedere me che mi realizzavo e che a 21 anni riuscivo a vincere il concorso in Rai è stata sicuramente una cosa che l'ha fatto essere felicissimo."Dopo cinque anni in Rai, Alessandra vince il concorso al Teatro Regio dove attualmente ricopre il ruolo di primo contrabbasso, "un po' il culmine di quello che si può raggiungere a livello del musicista d'orchestra." Nel descrivere il mondo orchestrale, Alessandra lo definisce "un po' antico, un mondo gerarchico" ma sottolinea come questo non implichi valori diversi tra i musicisti, piuttosto ruoli ben definiti all'interno di un sistema complesso.L'orchestra rappresenta per lei "un mondo a sé" dove "se qualcosa non funziona da parte di chiunque cade tutta la baracca." È proprio questa dimensione collettiva che Alessandra apprezza maggiormente: "È proprio un modo di fare musica assieme. E lo trovo una cosa bellissima, riuscire a fare qualcosa di bello tutti assieme."La vita del musicista d'orchestra, e in particolare di chi suona al Teatro Regio, è caratterizzata da orari irregolari e un'attitudine "notturna"

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    24 m
  • Ep. 71: Marco Ponti - Il "mio" cielo sopra Torino
    Apr 29 2025

    Oggi ho il piacere di ospitare Marco Ponti, regista e scrittore che con i suoi lavori ha contribuito a ridisegnare l'immaginario di Torino. Attraverso film come "Santa Maradona", Marco ha raccontato una città che forse non esisteva ancora, ma che in qualche modo ha contribuito a creare.

    Nel nostro dialogo, Marco ci porta in un viaggio attraverso tre diverse "Torino": quella della sua infanzia, quando da Avigliana prendeva il treno per vedere i film di prima visione; quella della sua giovinezza universitaria, vissuta da pendolare che sognava la vita notturna cittadina; e infine quella reinventata attraverso il suo cinema.

    "Il libro di Coulis era 'Torino è casa mia', il mio è 'Torino non è casa mia, ma ogni tanto ci vado'," ci dice con ironia Marco, sottolineando questo suo rapporto particolare con la città, sempre vissuta un po' da outsider.

    È affascinante scoprire come negli anni '90 Torino fosse un incredibile laboratorio culturale. "Era pieno di gente che faceva cose," racconta Ponti. Teatro, musica, sperimentazioni di ogni tipo fiorivano in una città che stava abbandonando la sua immagine grigia e industriale per trasformarsi in qualcosa di nuovo.

    In questo ambiente Marco incontra persone destinate a lasciare il segno: i membri dei Subsonica, Luca Bianchini, Stefano Sardo e tanti altri artisti che hanno formato una rete creativa straordinaria. "Ognuno ha dato coraggio all'altro," ricorda, "il primo è stato Pierpaolo con i Subsonica, poi tutti insieme abbiamo cominciato a collaborare."

    Il racconto di Marco sulla nascita di "Santa Maradona" è illuminante: un film ambientato in una Torino che lui stesso non conosceva, ma desiderava. Una città reinventata con "disinvoltura sulla filologia dei luoghi," dove i personaggi svoltano un angolo e si ritrovano in un'altra parte della città. Un'opera che ha contribuito a plasmare l'identità culturale torinese.

    Ascolteremo anche del rapporto viscerale di Marco con il cinema, nato nell'infanzia grazie ai cinema di provincia gestiti da parenti, dove poteva entrare gratuitamente. Il ricordo di quando il proiezionista gli spiegò l'illusione del movimento è toccante: "Il movimento non c'è nel cinema, è un'illusione. Stiamo ingannando i tuoi occhi."

    Marco ci parla anche della sua recente esperienza con il documentario "La bella stagione", realizzato con Gianluca Vialli sulla Sampdoria dello scudetto 1990-91. Un progetto che l'ha portato a riconoscere come, pur raccontando storie diverse, i suoi temi siano rimasti coerenti: "Un gruppo di ragazzi legati da un'amicizia forte, che vivono delle avventure complicate e tentano in qualche modo di sovvertire un ordine stabilito."

    È un episodio che racconta molto non solo di Marco Ponti, ma di una generazione di artisti che ha vissuto Torino come un laboratorio di possibilità, dove l'amicizia e la collaborazione hanno permesso di realizzare sogni apparentemente impossibili.

    Marco ci offre anche uno sguardo sulle diverse forme che ha assunto la sua creatività: dal cinema al teatro, dai fumetti ai romanzi per ragazzi. "Quando capitava di andare con i ragazzini mi arrivava addosso una valanga di energia," racconta a proposito della sua esperienza come scrittore per giovani lettori.

    Questa conversazione è un viaggio attraverso le trasformazioni di una città e di un artista, un dialogo che ci porta a riflettere su come l'arte possa non solo documentare, ma anche reinventare i luoghi che abitiamo.

    Non perdete questo affascinante episodio di Torino e Cultura! Se vi è piaciuto, condividetelo con chi potrebbe essere interessato e lasciate un commento con le vostre impressioni. Iscrivetevi al canale per non perdere i prossimi appuntamenti.


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    32 m